Italiano: Stemma di Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo cattolico italiano
Secondo la tradizione araldica ecclesiastica, lo stemma di un Arcivescovo è tradizionalmente composto da:
- uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, da particolari devozioni o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altro;
- una croce doppia, arcivescovile (detta anche “patriarcale”) con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
- un cappello prelatizio (galero), con cordoni a venti fiocchi, pendenti, dieci per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3.4), il tutto di colore verde;
- un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero.
Nel nostro caso si è scelto uno scudo di foggia gotica, frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica e una croce patriarcale “trifogliata” in oro, con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo.
Descrizione araldica (blasonatura)
“Trinciato: nel 1° di rosso alla stella (8) d’oro; nel 2° dello stesso, alla rosa del primo; all’alabarda di San Sergio d’argento sulla partizione”
Il motto:
FRUCTUS IUSTITIAE IN PACE (Gc 3,18)
Il motto episcopale dell’Arcivescovo Crepaldi è tratto dalla Lettera di San Giacomo laddove l’Apostolo, nel proclamare le caratteristiche della Sapienza, afferma, inoltre, che “il frutto della giustizia è seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace”. Queste parole costituiscono un chiaro e significativo riferimento al servizio reso da Mons. Crepaldi alla Santa Sede come Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Interpretazione dello stemma
L’ornamento esterno caratterizzante lo stemma di un Arcivescovo, oltre ai venti fiocchi verdi pendenti ai due lati dello scudo, è la croce astile arcivescovile.
Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica appunto la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata dai Patriarchi e, poco dopo, dagli Arcivescovi. Alcuni studiosi ritengono che il primo braccio traverso, quello più corto, volesse richiamare il cartello con l’iscrizione “INRI”, posto sulla croce al momento della Crocifissione di Gesù.
Il rosso è il colore dell’amore e del sangue: l’amore intenso e assoluto del Padre che invia il Figlio a versare il proprio sangue per noi; l’oro, metallo più nobile, identifica la prima Virtù, la Fede; infatti è grazie alla Fede che possiamo comprendere appieno il messaggio d’amore e di pace che ci giunge dal Signore.
La stella è simbolo di Maria, Nostra Madre celeste, alla cui materna protezione il Vescovo affida il suo ministero.
La rosa costituisce riferimento alla città di origine dell’Arcivescovo, Rovigo, la “Città delle Rose”; infatti il nome latino della città, Rodigium, deriva dal greco rhòdon, ossia rosa.
L’alabarda d’argento è il simbolo di Trieste ed è conosciuta come “alabarda di San Sergio”; infatti la tradizione narra che San Sergio, co-patrono di Trieste assieme a San Giusto, prestasse servizio in gioventù come ufficiale al servizio dell’imperatore Diocleziano. Convertitosi al Cristianesimo, in prossimità del suo trasferimento in Siria e presagendo il suo prossimo martirio per aver abbracciato la nuova fede, promise ai triestini un segno che testimoniasse la sua morte imminente; dopo breve tempo, in concomitanza con la sua decapitazione, nella piazza centrale di Trieste cadde improvvisamente dal cielo una alabarda che venne gelosamente custodita dalla popolazione tergestina. Attualmente, tale prodigioso reperto, è tuttora conservato nel tesoro della Cattedrale di San Giusto e si dice che il ferro in cui è forgiata non arrugginisce mai e non tiene la doratura con cui più volte in passato si è tentato di ricoprirla.